venerdì 27 agosto 2010

Andrea Sterpa - YouTube Extract


Imaginary Geometries




Different Looks - Arte Contemporanea Italiana a Varsavia




l'altro io



Without




Homo Ludens - quando l'arte entra in "gioco"




la donna animale




immaginare l'impossibile




3 ore 15 minuti




Video Still form CS05 Paesaggio de-contaminato




New Identity



martedì 24 agosto 2010

Fragment Web Face #1 project



Fragment Web Face #1-FASE3

Photo Web Assemblage
cm 120 x cm 95
2010

Andrea Sterpa project





Fragment Web Face #1-2CRISIS

Photo Web Assemblage
cm 40 x cm 95
2010

Andrea Sterpa project




Fragment Web Face #1-1CRISIS

Photo Web Assemblage
cm 40 x cm 95
2010

Andrea Sterpa project






Fragment Web Face #1

Photo Web Assemblage
cm 40 x cm 95
2010

Andrea Sterpa project


venerdì 20 agosto 2010

Imaginary Geometries - Chelsea Gallery, London



NEW IDENTITY
durata: 1'47''
musiche: J.Wall
data: 2006









curated by Cristina Prudente and Nadia Perrota.



Artists:
Potography: Iulia Filipovscaia, Mumi Trabucco,
Michela Zirretta, Inzajeano Mirage
Painting: Toni Ottinger, Mark Jason Kemp, Ted Barlow, Adnan Meatek
Installation: Fiona Long, Cristina Prudente
Video Art: Nadja Marcin, Marc Carniel, Alessi Ancillai,
Fabio Sanna, Marco La Manna, Nadia Perrotta, Andrea Sterpa, Matteo Forli



Chelsea Gallery
Old Town Hall (first floor)
Kings Road
London SW3 SEZ
Tube Station: Sloane Square

website: www.rbkc.gov.uk/libraries



from 29th June to 11th July 2009

website: www.piczo.com/imaginarygeometries

s o l o E X H I B I T I O N S

2006 "WEB NO VIP" Galleria ZonaImmagine, Manziana - Roma
dal 26 agosto al 4 settembre

2005 "WorldStill h. 24:00" Galleria ZonaImmagine, Manziana - Roma
dal 19 luglio al 2 agosto

2003 "Dadachrome" Arè Gallery - Roma
dal 15 al 22 febbraio

E S S A Y S


Metamorphosy
Heart Gallery Verona, 2008
Riccardo Fai e Nadia Perrotta

“Secondo appuntamento della serie di rassegne di fotografia e video arte a confronto, che Heart Gallery dedica alla giovane produzione artistica italiana. Andrea Sterpa e Matteo Perina indagano e raccontano le "nostre" metamorfosi: trasformazioni fisiche, biologiche, psichiche e sociali”



WithOut
Collettiva d'Arte Contemporanea - Capranica, Viterbo
Stefano Iatosti


“Dopo un iniziale percorso dedicato alla fotografia e al video, Andrea Sterpa ha focalizzato la sua ricerca sul volto femminile. Il suo tratto è veloce, essenziale, la caratterizzazione affidata a pochi elementi, la gamma cromatica ridotta. Con mezzi dunque volutamente poveri, affidandosi a un disegno stilizzato, a un’assoluta bidimensionalità, l’artista coglie e sintetizza il dato fenomenico e al tempo stesso la tonalità di fondo di un’espressione, in un processo identificativo nervoso e delicato, sempre pronto a riprendere il suo corso”


3 Ore e 15 Minuti
Collettiva d'Arte Contemporanea - Associazione Culturale Civica, Piazza Venezia, Roma
Stefano Iatosti

“Tre ore e quindici minuti”, al tempo stesso il tema di una mostra e la sua durata effettiva. Il tempo dell’esposizione s’identifica con quello, effimero, del vernissage. Ma qual è il tempo che dedichiamo a un’opera d’arte, da spettatori? Le continue sollecitazioni cui i nostri organi di senso -e la vista in primo luogo- vengono sottoposti quotidianamente finiscono per creare un flusso percettivo, un rumore di fondo da cui emergono frammenti di messaggio il più delle volte casuali e incoerenti. La babele iconica propinata dagli schermi televisivi sollecita il nostro sguardo in modo talmente invasivo da influenzare lo stesso processo di selezione degli stimoli che il nostro cervello mette in atto, di giorno e di notte. Le modalità della visione, i tempi di attenzione si modificano rapidamente e ciò non può non avere conseguenze sullo sguardo rivolto a un’opera d’arte. Nell’epoca di Daguerre un ritratto imponeva tempi di posa lunghissimi e persino un apparecchio per tenere immobile la testa del modello. In base a varie testimonianze letterarie, un’opera d’arte veniva contemplata a lungo, secondo una nozione del tempo e dello sguardo a noi ormai del tutto estranea. Furono gli Impressionisti, a introdurre l’immediatezza e il senso dell’effimero nell’occhio dello spettatore. Più tardi l’illusione del movimento restituita dallo scorrere dei fotogrammi accelerò i tempi di risposta e di attenzione del pubblico, ma è stata la tecnica pubblicitaria, con la sua capacità di attrarre sguardi abitualmente confusi e distratti, a infondere alle modalità della visione un’ulteriore rapidità di focalizzazione. La domanda che sorge spontanea è: siamo ancora in grado di guardare il tempo necessario, di soffermarci su un quadro, una scultura, una fotografia osservando da diverse prospettive, muovendoci dall’insieme al singolo dettaglio, gustando la costruzione formale, la tessitura, la materia, le variazioni timbriche o tonali, i piani e i volumi, il rapporto dell’opera con lo spazio? In ogni mostra d’arte contemporanea la domanda viene riproposta, sia pure in modo implicito. In fondo la sperimentazione è in primo luogo la ricerca di un nuovo punto di vista, di una nuova modalità dello sguardo, un’interrogazione sull’opera o anche solo sul progetto dell’opera che solleciti la vista in modo inaspettato, creando corti circuiti, evidenziando ciò che è negato o non percepito, ma anche l’atto stesso del percepire. Ha scritto Umberto Eco che ogni opera d’arte impone percorsi ripetuti, ma solo alcune eleggono questo principio a base della propria poetica. Di sicuro il tempo di percorso è una componente ineliminabile, come tempo necessario alla lettura, alla decodifica e interpretazione. Ci sono opere che giocano sulla loro complessità per imporre un’attenzione prolungata e altre in cui è proprio l’icasticità del segno a colpire, opere in cui l’artista suggerisce il percorso esecutivo e altre in cui l’uso della citazione fa leva sulla competenza e sulla memoria iconica del fruitore. Il tema della mostra circoscrive il tempo a una misura precisa, ma è proprio questo limite, a sollecitare interpretazioni tanto varie. Si va dall’ironia apocalittica di Mario Verta, con la sua citazione dickiana, alla parodia dell’efficienza militare di Pier Maurizio Greco, dalla fredda e al tempo stesso morbosa allusività di Consuelo Mura a quella tenue e preziosa di Manuela Alampi. Il meccanismo associativo è reso di volta in volta più oscuro, nell’invilupparsi della forma di Adriana Cappelli, fino a farsi cifratura informale di emozioni in Antonella Catini o sfociare nel simbolismo arcaizzante di Paola Giacon. Per Claudio Lia invece la pittura è testimonianza diretta, affidata all’insorgere dei colori; una diversa strutturazione del tempo è riscontrabile nella torsione del marmo in Isabella Nurigiani, un gioco di luce e ombra che articola lo spazio circostante. Serena Meggiorini propone i suoi riflessi, le sue atmosfere da impressionismo astratto, laddove Anna Costantini, dietro l’apparente casualità del gesto, si affida a sottili rispondenze di tessiture e di toni. La ricerca personale di ogni artista e l’opera che ne è il risultato sono articolazioni del tempo, tempo dell’ideazione e dell’esecuzione, che s’interseca con i percorsi diacronici e sincronici dei visitatori, con quelli della memoria, stratificarsi impercettibile d'immagini, pronte ad affacciarsi per suggerire nuovi svolgimenti, nuove elaborazioni. Ecco allora la stilizzazione del segno di Andrea Sterpa a fianco della partitura geometrizzante di Rosella Barretta, gli sfalsamenti luministici e temporali di Claudio Orlandi accanto alla composizione di tracce e orlature di Gabriele Simonetti, registrazione paradossale dell’effimero, del transeunte. E cosa di più labile di sfuggente, di un paesaggio colto dal treno, come mostra Giuliano Pastori? Nell’opera di Antonietta Campilongo la percezione dello scorrere del tempo è scandita dal ritmo architettonico, elemento di costanza nell’entropia progressiva dei sentimenti. In altri casi il tempo è fermato e ricomposto in un volto, come in Angela Vinci o, con vigore espressionistico, in Andrea Cardia. Se Massimiliano Doria evoca la precarietà con lo sfibrarsi del tessuto, in Giovanni Novi s’impone l’urgenza espressiva del colore acceso. Un’altra urgenza è percepibile nel livore anatomico di Rosanna Fedele, mentre l’impassibilità combinatoria è la cifra ironica di Paola de Santis. Vincenza Spiridione, infine, riconduce l’excursus temporale al suo significato tragico di lotta per la sopravvivenza. Come si vede, ogni singola opera suggerisce una visione del tempo, sia esso percepito come istantaneità, ritmo, durata o memoria. Le tre ore e i quindici minuti destinati a questa mostra rappresentano una sfida per chi espone e chi osserva, un laboratorio del tempo e dello sguardo, affinché si torni a guardare, a scrutare nella superficie, nella tessitura, negli interstizi di una struttura e ci si veda riflessi, si ritrovi un distacco, una visione che non scivola davanti alle cose, ma alle cose dell’arte restituisce il tempo, tutto il tempo che ci vuole."

3 Ore e 15 Minuti
Contemporary Art Exhibition by Civica Cultural Association in piazza Venezia, Rome
Stefano Iatosti

“Tre ore e Quindici Minuti”, at the same time an art exhibition topic and its actual duration. Exhibition duration is ephemeral like the short-lived vernissage. But how much time we dedicate in watching an art work? Everyday continuous pressing on our sensible organs – first of all our eyesight – create at the end a perceptive flow, a background sound from which comes out fragments of a message most of the times casual and incoherent. The iconical babel sent by television screen stress our sight in a so intrusive way that the main stimulus selective process that our brain activate day and night, it is influenced by it. Our way of visualize and our attention span are rapidly modified and that of course should have consequences on the way we look at an art work. In Daguerre’s time to make a portrait required very long exposure time and even and even an head-holding-support for the model. As stated by various literary testimonies, an art work was contemplated for a long time, according to a sense of time totally extraneous from ours. The impressionists, for the first time, brought in the eye of the audience the sense of immediacy and ephemerality. Later on the moving illusion made by the running of frames accelerated the attention span of the public, but it has been the advertising technique and its capability to capture commonly distracted and confused audience to enable us to be even more and more rapid on focusing on things. The consequent question is: Are we still able to look at a painting, a sculpture, a picture, as long as it is necessary, observing from different prospective, from the whole matter to the single detail? enjoying the formal construction, the texture, the material, the timber and the tone color variations, the planes and the volumes, the relation between the object and the space? Every contemporary exhibition implicitly asks this same question. At the end experimentation in first of all the research of a new point of view, of a new way of watching, an asking about the art work or even just about the project itself if it is able to stimulate the sight in an unexpected way, creating short circuits, underlining what is denied or what in not perceived, but even the perceiving act itself. Umberto Eco wrote that every art work imposes to repeat some courses, but only some of them choose this principle as basic for their poetics. Certainly the time for a course is not removable, as needed time for the reading, the decoding and the interpretation. There are some works that use their complexity in order to impose a prolonged attention on them. Whereas what impresses of other art works is the representativeness of the sign, works in which the artist suggest the executive course and others in which the use of quotations stimulate the knowledge and the iconical memory of the audience. The topic of the exhibition restrict the time to a precise measure, but it is this very limit that stimulate so various interpretations. From the apocalyptic irony of Mario Verta and his dickian quotation, to Pier Maurizio Greco’s parody of military efficiency..from the cold and at the same time morbid Consuelo Mura’s allusions to the Manuela Alampi’s one rarefied and precious…the process of association is rendered time by time darker, through the wrapping of figures of Adriana Cappelli up to become emotions informal coding with Antonella Catini or flowing in to Paola Giacon archaizing symbolism. For Claudio Lia painting is, instead, direct testimony entrusted to the colors arising; a different way to structure the time is findable in Isabella Nurigiani marble’s torsions, lights and shadow splitting up the space all around. Serena Reggiolini presents her glares, her abstract impressionist atmosphere, whereas Anna Costantini, behind a apparently casual sign, trust in rarified correspondences of weaving and tones. The personal search of every artist the work that is the result of it, are articulations of the time: ideation and execution time, that intersects itself with the diachronic and synchronic course of visitors, with the one of the memories. They are the imperceptible stratification of images, ready to appear in order to suggest new development, new elaborations. Then we have the stylization of Andrea Sterpa’s sign close to Rossella Barretta’s geometrizing score; Claudio Orlandi’s luminarist deflection near to Gabriele Simonetti’s composition of traces and edges, paradoxical ephemeral and transient registration. And what is more fleeting, more transient than a view of a landscape caught from a train, like the one shown by Giuliano Pastori? In the work of Antonietta Campilongo the perception of the running of time is scanned by the architectonical rhythm, constant element in the progressive entropy of sentiments. In other cases the time is stopped and remade in a face, like with Angela Vinci o, with expressionistic vigor, with Andrea Cardia. If Massimiliano Doria calls forth the precariousness through the defibration of the material; in Giovanni Novi’s works it is imposed the expressive urgency of strong colors. Another urgency it is perceived in Rosanna Fedele anathomic spite, whereas the combinatorial impassibility is Paola de Santis ironical figure. Vincenza Spiridione, at last, brings back the temporal excursus to his tragic meaning of fighting for survival. Us you can see, every single work suggests a time view, perceived as instantaneousness, rhythm, durance or memory. The three ours and the fifteen minutes destined to this exhibition represent a challenge for the exhibitors and the observers, a laboratory of time and sight, in order that we come back to observe, to delve into the surface, into the textile, into the narrow space of a structure so that we see our reflection, we find a distance; a vision that does not slip in front of things, but to the art works gives back the time, all the time that is needed.”


Viaggio nell'interpretazione
Collettiva d'Arte Contemporanea - D'Art Visual Gallery, Menaggio, Como
Davide Dell'Acqua

“La particolarità dell'artista è il riuscire a vivere l'arte e l'esperienza artistica al di fuori di schemi statici. Una visione apparentemente semplice, ma che racchiude in se una varietà di interpretazioni che ci pone di fronte ad una diversa percezione della vita”


Natività 2006
Collettiva d'Arte Contemporanea - Museo V. Crocetti, Roma
Merhan Zelli (storico e consulente d’arte)


“Giunta alla sua VI^ edizione La Natività, da un progetto dell’associazione culturale Hermes 2000 nella persona di Ippolita Molinari ed il curatore Elisabetta Palmioli, l’evento si divide tra la Torretta Valadier di Ponte Milvio e la Fondazione del Museo Venanzo Crocetti, che si arricchisce di nomi illustri della pittura moderna e contemporanea, senza trascurare giovani talenti e artisti meritevoli di attenzione che abbiano già mosso dei passi importanti sul loro percorso artistico.
Presso la Fondazione del Museo Crocetti leggiamo tra le 15 opere che catturano l’attenzione:
i grandi maestri della prima e della seconda Transavanguardia: Mimmo Paladino, con un’opera di ricerca originale e un Bruno Ceccobelli dalla grande personalità; non può mancare la scuola di Piazza del Popolo, con l’eleganza di Franco Angeli e la sintesi di Renato Mambor; la forma e la firma di un cangiante di Turcato e, tra le pieghe dell’informale un raro sudario di Giorgio Celiberti ed un materico dono di Salvatore Emblema.
Un vibrante Finzi con la sua architettura del colore in nero ci rimanda al solare Luca Dall’Olio che incanta con il colore dei sogni e il calore dei segni.
Il talento di Paola Romano e il suo Nuovo Concettualismo attraverso la ricerca del movimento offre delle certezze di un artista di grandi capacità creative ed espressive, la pittura di Michele Cardone espressionista autodidatta, oltre la raffinatezza e il senso delle cose senza tempo di Giorgio Cavalieri, la stessa pittura ad olio delle velature di Alessandra Rosini, giovane artista da seguire, come da seguire sono Lino Cairo e Andrea Sterpa, artisti inquieti ma sensibili e di grande comunicazione.
Alla Torretta Valadier di Ponte Milvio espongono invece artisti che si cimentano sul tema, alle loro prime mostre ed esperienze artistiche, una esposizione varia e che cerca di aprire le porte a talenti nel settore delle arti visive.”


Dolcerosa
Collettiva d'Arte Contemporanea - Museo V. Crocetti, Roma
Loredana Raciti (artista)

“Dolce Rosa di Andrea Sterpa, è un lavoro intenso e intimistico. Rosa è una donna di oggi, con lo sguardo immobile sulle sue domande. Gli occhi vogliono piangere, liberandosi dalle incognite future e gli assillanti doveri quotidiani ma non riescono a farlo, e con purezza trattengono quel fiume in piena, dai sottili argini. Sembrano vibrare nel loro reprimere lo sfogo benefico, che soffocato dilaga in una immensa dolcezza, disarmante. Lei è lì sola ad esplorare le sue richieste alla vita ma non condanna, né tanto meno ne è vittima, benché incapace di agire ora.
La donna lo ha fatto tante volte, come un’eroina senza voglia e certezze, ecco perché è l’eroina indiscussa, una Madonna del Pilar, ma quale donna non lo è, anche nelle sue profonde ombre segrete e nere.
Guardando Dolce Rosa, la luce nel suo volto si fa tenue e irradiante, i colori chiari usati da Andrea Sterpa, toglie ogni dubbio di oscurità statica e dolore non risolto. Nessuna supplica nel viso di Rosa ma una semplice e fortissima dolcezza, continuerà a scalare senza rimpianti e impavida la sua vita.
Nel tratto certo e sicuro di Andrea Sterpa, benché spigoloso e volutamente spezzato, in tutti i suoi lavori trapela la morbidezza, la rotondità dell’accoglienza che denota con sottile raffinata eleganza, che ogni volta una sua opera si illumina, di quel racconto positivo, dove non cancella mai né la consapevolezza né la speranza.
Semplicemente le sospende nella sola certezza dell’uomo, che è nato per imparare, nonostante l’incapacità molte volte di farlo. Questo delicato e al tempo stesso vibrante lavoro di Andrea Sterpa, realizzato su tavola, a tecnica mista (matite, olio, smalto e acrilico su carta) cm.70 x cm.70, lascia spazio al mondo delle riflessioni e non solo al femminile, l’opera nasce da un uomo che con profonda sensibilità si rispecchia nel volto-icona, legato all’immaginario collettivo quando ne respira l’infinita tenerezza naturale e vi si abbandona totalmente.”


Homo Ludens
Collettiva d'Arte Contemporanea - NeoArtGallery, Roma
Valeria S. Lombardi (consulente d’Arte Contemporanea)


“In un solo lavoro Andrea Sterpa ci mostra tutto il suo fulcro artistico. Il suo modo di far arte è come se si avvalesse dei medesimi ingannevoli modi e giochi di questa odierna consumistica, globale società, dove tutto deve essere grande, scintillante, vincente. Ma utilizza questo inganno, come dipingere con smalti luccicanti le parti drammatiche, proprio per esaltarne la sola e vera ambiguità, la generale amoralità; ormai siamo indenni a tutto, tutto ci passa indifferente, dalla sparatoria, alla bomba, ad un bambino che non ha nulla di cui vivere. Andrea Sterpa gioca dando un monito, una riflessione; ecco perché la figura sulla destra del dipinto è solo disegnata, questo non è per mancanza di capacità tecniche o per accidia, ma per dare, cercare di dare un monito: siamo arrivati al limite di noi stessi. Ogni giorno ci sentiamo dire “porgi l’altra guancia”, ed “aiuta il prossimo”, ma ormai siamo in balia di un gioco più grande di noi, perché avanti a sangue, flutti di sangue, tutto ciò non verrà mai preso con serietà, sgomento e volontà necessari per cambiare, ma sarà un “SOS Contemporary Games” dove tutto verrà inglobato, masticato e considerato del tutto normale, senza però evitare che da lì a poco si arrivi all’implosione del mondo.”


Impossibile. Perfettamente Impossibile. L’Arte in bilico fra Realtà e Sogno
Ventuno artisti italiani interpretano l'impossibilità
Caterina Provenzano (giornalista e critico)


“Impossibile, perfettamente impossibile. Viene in mente Jacques Derrida. La metafisica privilegia la parola, espressione diretta della verità, e svaluta il segno scritto, intesa come assenza. Ma l’impossibile può essere possibile per autoreferenzialità? La realtà è solo “ciò che è”, affermava Parmenide cinque secoli prima di Cristo. Ma si può immaginare l’impossibile, perfettamente impossibile? Ci proveranno ventuno artisti italiani fra i più noti nel panorama mondiale. Si sono dati appuntamento a Roma il 28 ottobre presso la Neoartgallery per una collettiva d’Arte contemporanea curata da Antonietta Campilongo.
Angelo Ribezzi, Riccardo Paolucci, Adriana Cappelli, Giovanni Camponeschi, Gabriele Simonetti, Maria Cecilia Camozzi, Luigi Cipollone, Antonella Catini, Giuseppe Siciliano, Carlo Capone,Giampaolo Ghisetti, Andrea Sterpa, Pier Maurizio Greco, Maddalena Marinelli, Antonietta Campilongo, Consuelo Mura, Luca Soncini, Flaminia Mantegazza, Maurizio Baccanti, Francesco Gentile, Manuela Alampi proveranno ad immaginare l’impossibile, perfettamente impossibile. Niente retorica o giri di pennellate e scalpelli. Gli artisti con la loro arte e la loro visione immaginano l’impossibile con materiali e tecniche diverse. Interpretano l’impossibilità, quella totale, veramente impossibile.
Dov’è l’impossibile, perfettamente impossibile? In una città bella e ordinata? In un mondo avvolto in un abbraccio di mamma, caldo, soffice, totale? Dov’è l’impossibile? Tra il sogno e la realtà dell’uomo vitruviano? Nella negazione o nell’ affermazione? Nella presenza o nell’assenza? Bisognerebbe avere una concezione decadente della vita per poter rispondere. E chi è artista lo sa. La risposta la dà con la penna, con lo scalpellino o con il pennello.
L’impossibile è presente nella realtà, se per impossibile intendiamo ciò che in essa non dovrebbe esistere: crudeltà, omicidi di carne e di spirito, cattiva salute ambientale, dimenticanza… Può essere, però, anche un sogno non realizzato, un amore non vissuto, una vita negata. Tutti conoscono l’impossibile, quantomeno si percepisce. Solo Dio non può incontrare l’impossibile, direbbe Jean Luc Marion. All’uomo non rimane che la sua impossibilità possibile e, allo stesso tempo, la sua possibile impossibilità.”


Immaginare l'impossibile. Perfettamente impossibile
Collettiva d'Arte Contemporanea - NeoArtGallery, Roma
Francesco Giulio Farachi (critico)


“Pochi colori e pochi tratti usa Andrea Sterpa per rappresentare i volti, per liberare alla superficie del visibile l’estendersi vasto delle sfere intime. Attraverso gli occhi, enormi, sempre dolcissimi e pronti, occhi che guardano ed assorbono luce, che si spalancano sul mondo ad invadere e ad essere invasi, le figure di Sterpa esaltano la ricchezza delle passioni, la denunciano in un alito di pacificato controllo, la mostrano in quella definitezza e limpidità che son proprie della coscienza, della consapevolezza di sé. Si possono toccare allora i sogni impossibili, vederli come in una proiezione sul muro, mitigarne i contorni e le misure, adeguarli allo sguardo, al senso vero di ogni vita.”


WEB NO VIP
12 OTTOBRE 2006
Valeria S. Lombardi (consulente d’Arte Contemporanea)


“Chi crede di dover stroncare l'arte di Andrea Sterpa, non ha compreso nulla di quello che ci vuole così sagacemente trasmettere.
Chi poi storce il naso od addirittura sbotta perchè vede dei lavori come non finiti (perchè i visi rappresentati sono solo delineati a matita), oppure non abbastanza dipinti, (perchè solo coperti quasi da una asettica striscia di colore) quasi da pensare che sia un accidioso artista, anche qui bisogna trarre l'idea che il fruitore che ha mosso tali sentenze sia un anziano, pur magari avendo solo trent'anni...Questa tremenda posizione è mossa invece perché si è fortemente davanti a qualcuno, per di più un'artista autodidatta che è riuscito, nuovamente a superare non solo i limiti dell'arte contemporanea, ma che riesce proprio nel Suo unico modo di procedere a trasmetterci un valore universale: che anche in una persona sconosciuta può diventare famosa, se messa "sotto le luci giuste", espresso nella Sua attuale ricerca definita Web no Vip.
Plaudo questo modo di far Arte perchè è come se Andrea Sterpa guardasse questo odierno e quotidiano nostrano accanimento a voler apparire e divenire così famosi ed importanti senza magari veri meriti, per poi come dare a questi sconosciuti quell’attimo di celebrità tanto voluta, ma la sublimità della Sua Arte sta, che i visi vengono sempre poi trascritti dai medesimi segni della Sua mano, rendendo così opere che non sono ricollegabili ad un tal viso, ma che invece hanno universale nel loro tratto una valenza.”


La donna animale, il mistero terreno della femminilità
Collettiva d'Arte Contemporanea – Capranica, Viterbo
Francesco Giulio Farachi (critico)


“I visi di Andrea Sterpa si volgono dolcissimi e quasi spauriti, innocenti per occhi enormi e limpidi di un mondo interiore commosso. Ed insieme forti, come la sottile essenzialità del tratto grafico, decisi nel loro minimalismo quasi infantile. Soprattutto le donne, come umanissime e laiche Madonne fanciulle, sono creature appena sbocciate, eppure già consce di ineludibili pene e di necessario coraggio, già partecipi e pronte all’altro, destinate ad amare, a sorreggere il peso della vita. La purezza lirica di queste anime supera ogni pathos di maniera, ogni indulgenza al compiacimento di sé, ma abbraccia negli occhi fondi e dilatati una realtà vera, effettiva, solo intessuta di lieve malinconia e di ancor più lievi sorrisi.”


Animal-Woman - Earthly mystery of femininity
Collective Exhibition – Capranica, Viterbo
Francesco Giulio Farachi (critico)


“Andrea Sterpa’s faces turn in a sweet and almost scared way, innocent with enormous and limpid eyes in to a inner heart-felt world. And at the same time they are, like the tiny essentiality of his graphic line, decisive in their own minimalism, almost childish. Especially the women, like “girls-Madonna” very human and lay, they are creatures who have just blossom, but already conscious of inescapable pains and of the needed courage, already partaking and ready to the rest, destined to love, to sustain the weight of life. The lyric purity of these souls overcomes any pathos of manner, any indulgency at a self-pleasantness, but embrace in the deep eyes a different, true, effective reality just woven of light melancholy and of more and more lighter smiles.”


Il territorio in cui viviamo
Presentazione del video “Paesaggio De-Contaminato", Roma
Merhan Zelli (storico e consulente d’arte)


“Gli artisti Lino Cairo e Andrea Sterpa attraverso una performance ambientale, ironica e concettuale, danno una prova di carattere con la loro espressione d’arte, frutto di ricerca, sperimentazione e talento. La natura crea, l’uomo distrugge e l’artista lascia una traccia di speranza.”


Arè Arte – L. Cairo e A. Sterpa
Pocket n. 2, febbraio 2003
Cristina Buonamano (giornalista)


“Nelle opere di Lino Cairo e Andrea Sterpa la casualità, le trasparenze, la materia, il movimento apparente di superfici statiche, le immagini, la fotografia, il bianco e nero.”


L’Exploit: Colori in Pittura Digitale
LuissInformazione, Roma, 2000
Roberta Giangiorgi (giornalista)


“La sezione ispirata alle correnti di arte moderna è quella che più colpisce […] il primo quadro, realizzato da Andrea Sterpa, rappresenta due cuori in volo: colpisce il movimento impresso ai soggetti come a sottolineare la volatilità dei sentimenti e insieme la forza di questi con l’utilizzo del rosso molto acceso.”

I N T E R V I E W S

Intervista ad Andrea Sterpa
di Nadia Perrotta
24 agosto 2007

solonadia: Pittore, fotografo, video-artista, performer...artista a 360° oppure ancora in cerca di...
AS: Ancora in cerca di… l’artista, lo scrittore, il poeta, il fabbro, l’operaio, l’avvocato, quando arriverà il giorno in cui smetteranno di cercare, sarà l’ultimo giorno della loro vita.
solonadia: Cosa ti delude maggiormente del sistema arte e cosa invece ti stimola?
AS: Ogni episodio legato al sistema arte provoca delusioni-stimoli. Entrambi. Anche se mi delude la poca professionalità di certi addetti ai lavori che troppo spesso si spacciano per “maestri” del sistema. Gli stimoli vengono da tutto ciò che è innovativo, che è nuovo e che scaturisce dall’ interpretazione della realtà.
solonadia: Di giorno impiegato, di notte artista (come tutti coloro non ancora "santificati" dal sistema): doppia identità da supereroe oppure semplicemente...sfiga?
AS: Sfiga? No! Sono d’accordo con Machiavelli, ognuno è artefice della propria fortuna, del proprio fato, nel bene e nel male (più o meno). Di giorno dunque impiegato con il pensiero fisso all’arte, di notte artista non-artista attaccato ad una bottiglia di vino o di whisky.
solonadia: Osservando la tua serie "shoes in motion" ho istintivamente collegato le immagini agli sbarchi di immigrati clandestini e successivamente ai genocidi di cui la storia recente è ricca e varia (indipendentemente dalla connotazione geografica o politica). cosa rende un lavoro artistico attuale e nello stesso tempo universale? cosa lo rende artistico?
AS: Il compito dell’artista non si esaurisce con l’interpretazione della realtà in cui vive, va oltre, rappresentando quella re-interpretazione necessaria al superamento dei limiti imposti dalla realtà-data. “Shoes in Motion” si compone di alcuni scatti fotografici che rappresentano il cammino di avvicinamento tra due popoli, due nazioni, due diverse entità. Credo che l’artista abbia il compito e il dovere, morale e concettuale, di superare i limiti e le nefandezze della storia, descrivendole, facendole proprie e rigettarle nella società con una nuova visione, fatta di speranza, di nuovi legami, di leggi socio culturali che non appartengono al classico linguaggio del diritto scritto, bensì a quel linguaggio di comunicazione mentale e materiale che tende ad unire, a ravvicinare, piuttosto che a dividere e a isolare. Ma cos’è che rende un lavoro artistico non l’ho ancora capito.
solonadia: Ti invio in allegato un'opera scultorea di un artista concettuale nigeriano, Sokari Douglas Camp. Il titolo dell'opera è "Bin Laden Pietà". Ti va di commentarla?
AS: - So che Sokari Douglas Camp è un artista e che Bin laden è l’uomo più ricercato sulla faccia della Terra, ma non conosco né l’uno né l’altro.

Intervista a Giacomo Costa
di Andrea Sterpa
13 novembre 2006

AS: Oggi l’arte è legata ad un “sistema”, piuttosto che a correnti o gruppi come avveniva fino a poche decine d’anni fa. Credi sia un bene, un male, o semplicemente questo è lo specchio della società contemporanea?
GC: Nella mia esperienza d'artista faccio difficoltà a identificare un "sistema dell'arte". Vedo e conosco tante realtà nazionali e un certo numero di legami internazionali che dipendono molto anche dalla capacità stessa di attrarre, trascinare e creare pensiero delle singole nazioni più che dal volere o dal potere di quel critico o di quell'altra galleria. Esistono invece molteplici ambiti culturali transnazionali ai quali si riferiscono ed operano i singoli artisti. Internet e la globalità della comunicazione hanno probabilmente svincolato l'artista dalla necessità di condividerefisicamente un gruppo o una corrente. Si può essere inseriti in un mondo stando isolati per conto proprio senza per questo essere provinciali o esclusi.
AS: Quanto è importante, oggi, il rapporto con altri artisti?
GC: Non saprei, per me non lo è se si intende di rapporto diretto... enorme (come sempre lo è stato) se ci si riferisce all'aspetto culturale relazionale. Io continuamente mi ispiro e interagisco con lavori di artisti e non solo.Sarebbe impensabile non relazionarsi, sarebbe una sorta di isolamento culturale antistorico e in controtendenza con l'attuale modo di intendere la cultura.
AS: E quanto la comunicazione nel tuo modo di vivere e/o di fare arte?
GC: Come dicevo, la comunicazione è la base delle principali innovazioni di questo periodo, sms, email e internet sono diventati il nostro nuovo linguaggio e il principale e quasi esclusivo canale di comunicazione di pensieri e contenuti di ogni genere. Credo che per chiunque la comunicazione sia centrale.
AS: Qual è stato il tuo primo lavoro?
GC: Ladro di moto e piccolo spacciatore se ti riferisci alla fonte di reddito, l'agglomerato n.1 se ti riferisci alla mia ricerca artistica. Anzi direi i miei autoritratti in polaroid...anche se erano più un gioco.
AS: Esiste una chiave di lettura per interpretare quello che fai?
GC: Esiste una mia chiave personale che non ho intenzione di rivelare poiché andrebbe ad influenzare quella degli altri spettatori. Le opere d'arte hanno lo scopo di creare emozioni e andare a dialogare con le esperienzeindividuali di chi guarda. Ciascuno deve proiettare i propri stati d'animo, la propria cultura e il proprio bagaglio culturale su ciò che vede davanti. L'opera deve solo rappresentare un punto interrogativo, uno stimolo allariflessione. Altrimenti è una didascalia, una illustrazione.
AS: Chi è il fruitore ideale delle tue opere?
GC: Chiunque.
AS: C’è, o c’è stato, un artista che ha ispirato il tuo lavoro?
GC: Sono migliaia gli artisti che mi hanno ispirato. Ma nel senso di formare la mia cultura, il mio mondo visivo, il mondo dei miei sogni e quant'altro. Come è facile intuire non saprei neppure identificarli!
AS: Ami esprimerti maggiormente con le immagini o con le parole?
GC: Amo molto ciò che faccio ma amo altresì parlare, incontrare e scrivere.
Dunque amo comunicare in tutti i modi possibili. Non sempre mi piace troppo parlare del mio lavoro...conflitto di interessi!!! Un'artista non dovrebbe parlare dei proprio lavori...di solito tende a dire banalità che finiscono per rovinare la lettura del lavoro stesso!
AS: ”Ogni cosa che faccio è celebrazione, sono veramente ossessionato dalla vita, e la morte è il punto in cui la vita si ferma. L’arte riguarda la vita e non può proprio riguardare nient’altro. Non c’è nient’altro. Quanto ti rispecchiin questa affermazione di Damien Hirst?
GC: Mah, mi sembra una frase romantica alla Oscar Wilde che conferma quanto detto sopra! Anche se volendo potrei anche non trovarla del tutto fuori luogo.
AS: Il tuo prossimo progetto?
GC: Finire la bottiglia di Fernet che ho appena aperto!


Intervista a Sabrina Ortolani
di Andrea Sterpa
17 settembre 2006

AS: Cosa conta davvero in arte?
SO: Arte è una parola generica … troppo usata e abusata ... il senso ormai si perde.
Il tentativo di “udire” musica dove in genere c'è silenzio ... scorgere l'invisibile (apparente) ... tentare di dipingere un “fantasma interno” … tutto rapportato alle circostanze … perché tutto è “assurdo” relativamente.
AS: E tu come ti poni innanzi a questo “assurdo”?
SO: Tutti noi abbiamo una visione personale del mondo. Io dipingo quello che vedo e che mi affascina … le forme marginali ... l'estetica ... il silenzio ... l'usura e l'abbandono. Questo è il mio “assurdo relativo”. Tu ti domandi spesso cos'è l'arte? Cosa conta in arte?
Inutile cercare una ragione, si perde la spontaneità … quella vera non predeterminata … quella che ti induce anche all'errore ... l'istinto s'affievolisce, l'ispirazione diventa povera e il cuore manca di slancio ... in questo senso “la ragione è nemica dell'arte”, citando Ensor.
AS: Se fossi un critico, che definizione daresti dei tuoi lavori?
SO: Mi sembra di averlo già spiegato. Comunque non mi piace parlare troppo di questo ... i lavori parlano da soli ... se hanno da dire qualcosa la dicono, ripeto, non ricerco mai a tutti i costi una definizione, una ragione o un perché. Comunque non sono un critico.. quindi certe domande non me le pongo.
AS: Perché la descrizione delle periferie nei tuoi lavori? Quando è nata questa idea?
SO: Abito nella zona sud-est di Roma ... sono cresciuta con queste forme negli occhi ... ma non è solo per la prossimità geografica, ma per l’apparente marginalità … il silenzio e il rumore, l'ordine e il disordine che ispirano certe forme ... e in tutto questo non è mia intenzione rappresentare una realtà fatiscente … non c’è pessimismo. AS: Come vivi il rapporto con i galleristi?
SO: Non lo vivo.
AS: Lavori regolarmente, organizzi la tua giornata secondo un programma, o agisci in maniera spontanea?
SO: Non lavoro regolarmente, in genere dipingo quando mi sento (a parte quando lavoro su commissione) non organizzo la mia giornata secondo un programma.
AS: Esporre le tue opere ad una mostra significa esporre le tue emozioni?
SO: Si certo, infatti mi imbarazza molto “essere presente”, è come un mettersi a nudo.
AS: Chi è il fruitore ideale delle tue opere?
SO: Non credo esista un fruitore ideale tutti sono capaci di osservare.
AS: In quale direzione si muove la tua ricerca? E il tuo prossimo progetto?
SO: Credo di aver già spiegato in quale direzione (se così si può dire) si muove la mia ricerca ... il mio progetto più immediato è quello di ritornare ad affrontare la figura umana.


Intervista ad Andrea Sterpa
di Domenico Di Caterino
15 Agosto 2006

DDC: Secondo me bisognerebbe riaprire la sfera pubblica dell'arte, investire su una idea di cultura e di fare artistico diffuso e democratico nel senso ampio del termine.
D'altronde non esiste arte senza comunità, per comunità in questo caso intendo libere associazioni di artisti indipendenti con il sostegno di altre reti territoriali, pensi sia un progetto troppo utopico?
AS: L'arte, quella vera, quella che fa muovere i mercanti, i collezionisti, i musei e le istituzioni, ha uno scopo pubblico. Questa arte può essere democratica, sociale, comunitaria.
L' arte vera è per pochi, perché sono pochi quelli che hanno una sensibilità maggiore, una intelligenza superiore, una cultura superiore, le conoscenze giuste, il denaro giusto e perché no? l'adeguata fortuna. L'arte vera rimane alla storia, ne fa parte, necessita di tutto questo, e pur raccontando la società, la comunità, la realtà e la "realtà non data", non necessariamente ne deve par parte.
DDC: Il tuo lavoro ha una dimensione pubblica o privata? A chi ti rivolgi come artista comunicatore? La tua è una arte con la A maiuscola?
AS: Il mio lavoro ha dimensione pubblica. Fare arte solo in una dimensione privata non credo sia arte. I miei riferimenti sono legati ad artisti emergenti ed a giovani organizzatori di eventi artistici, nonché i normali (a volte banali) mezzi di comunicazione on line.
Il limite tra arte con la a minuscola e maiuscola è nel riscontro del pubblico che porta al famoso salto di qualità.
La mia arte è con una a minuscola. Quando guardandomi attorno scopro le performance di Vanessa Beecroft, i film di Matthew Barney o i volti di Marta Dell'Angelo, mi sento ancora molto piccolo.
DDC: Ti senti piccolo davanti a Barney e la Beecroft? Loro sono figli di un circuito ristretto e privatizzato, sono privi di una dimensione pubblica e non hanno pubblico che non sia quello specializzato "costretto" a comprenderne il senso (sempre che ci sia senza sovrastrutture di mercato).
Davanti a tali artisti tu dovresti sentirti immenso, sempre che la tua piccolezza non sia mossa in realtà semplicemente da un sentimento d'invidia nei confronti della diffusione che i mercati impongono delle loro operazioni dal budget hollywoodiano,
intendi questo quando parli di pubblico?
AS: Il vero pubblico è quello che apprezza, comprende ed ama il lavoro di Beecroft e Barney. Io sono "vero pubblico", più che artista.
L'arte contemporanea non è di massa, descrive e racconta il tutto ma non gli appartiene. Oggi per essere artista bisogna stare dentro quello che definisci "circuito ristretto e privatizzato". L'arte di troppi è pattume. L'alternativa è fare arte senza lasciare tracce alla storia, questa è la dimensione artistica che sto vivendo, senza sentirmi immenso di fronte a questo sistema e senza invidia per nessuno.
DDC: Io e te apparteniamo a quel cinque per cento di popolazione che emette il quaranta per cento dell'inquinamento globale (quadri compresi, devi sapere che talvolta butto i miei a miri suscitando l'ira di ecologisti ed ambientalisti), usiamo e sprechiamo risorse forti di ricatti militari ed economici che ci permettono di agire così, pensi che tutto ciò non passi anche per la quotazione della Beecroft?
AS: L'apparato militare ed economico globale non credo eserciti forti ricatti su di me, su di te, sulle nostre risorse e dubito ci sia un legame profondo attendibile tra questo e le quotazioni della Beecroft. La riconoscibilità e il forte messaggio sociale fa della Beecroft qualcosa che va al di là dei miei quadri, delle mie risorse e dell'inquinamento globale.
Amo interpretare la realtà-data come meglio credo, senza paletti e canoni e non nego, anzi affermo fortemente, che gli artisti che ti ho citato, e una immensità meno famosa-globalizzata-di sistema, mi hanno dato e continuano a darmi stimoli nella produzione della mia arte, nell'evoluzione-riflessione del mio pensiero e nella conoscenza dei vari strati della mia personalità e in quella della società-contemporaneità nella quale sono immerso.
DDC: Io trovo invece che questo sistema artistico sia costituito da tanti e troppi spettatori, una fabbrica estremamente produttiva di capitale e di spettatori epigoni, emuli e passivi come te.
L'assorbimento indiscriminato di immagini artistiche imposte ostacola e non stimola o facilita l'assimilazione del sapere.
Mi riferisco allo spettatore artista ma anche all'artista attore come te quando ti relazioni ad un pubblico da galleria.
AS: Non mi sento emulo, piuttosto sono osservatore, critico, razionale. Assorbo molto ed è questo che accresce una persona, immagazzinare, fare cernita, apprendere e progredire … e se per fare questo è necessario vivere in una società fatta di troppi spettatori, passivi o attivi che siano, mi ci trovo bene.
Amo la mia libertà democratica-decisionale-artistica relazionata ad un pubblico qualsiasi (amo essere eremita e contemporaneamente amo relazionarmi con il pubblico di una galleria, di una sagra o di una performance di Vanessa Beecroft). Chi si adatta a questa realtà la vive la sfrutta, se ne serve e serve ad essa. Chi la rifiuta, la denigra e sogna esclusivamente di rivoluzionarla ne rimane escluso.
DDC: Aristotele ammoniva che il sovrano poteva e doveva contare sull'obbedienza dei suoi sudditi.
Pochi arditi si immaginavano simili a dèi e potevano essere facilmente censurati e/o condannati all'oblio, gran parte dei sudditi o aspiranti tali rifiutava anche solo la possibilità di tale condizione, preferiva la gabbia all'isolamento. Mi sembra di capire che tu come artista preferisca la gabbia delle gallerie all'isolamento, sbaglio?
AS: Non ho molti rapporti con le gallerie: non mi prostituisco al primo arrivato che mi chiede i soldi per esporre, faccio una cernita, scelgo con calma e qualche volta vengo invitato. Non ho necessità di esporre in galleria e di far conoscere la mia arte fatta di una “a” minuscola e non sento di dovermi impegnare a fondo affinché venga apprezzata. Tra la gabbia (nero) e l'isolamento (bianco) scelgo il grigio.


Intervista ad Andrea Sterpa
di Valerio Ceci
“Raccontare il nostro tempo" – Controvoce 09 settembre 2006

VC: Andrea, come è nata la tua passione per la pittura e per l’arte in generale?
AS: Mah, non saprei con precisione. So che fin da piccolissimo avevo già la passione del disegno e della pittura. Però la vera spinta è venuta sicuramente da più grande, quando ho iniziato a frequentare l’arte del Novecento. Ricordo di aver visitato moltissime mostre e gallerie d’arte, mi sono informato e ho studiato la storia in maniera più rigorosa. E da quel momento, una decina d’anni fa, ho iniziato consapevolmente un percorso che definirei professionale.
VC: Che cos’è l’arte secondo te?
AS: L’arte è fatta dagli artisti. E gli artisti sono tutti coloro che tramite qualsiasi linguaggio espressivo raccontano il loro tempo. Il tempo in cui vivono. Questo può avvenire più o meno volontariamente a seconda dei casi. Tuttavia quello della comprensione del proprio tempo credo sia il metro di separazione più valido tra ciò che è realmente arte e ciò che invece è mera tecnica.
VC: Quali sono gli artisti che più ami e che più hanno influito nella tua formazione?
AS: Sicuramente le avanguardie storiche hanno influito molto nella mia formazione artistica. Amo ad esempio il Dadaismo, la Pop Art e l’arte concettuale degli anni sessanta. In particolar modo adesso guardo all’arte contemporanea che è fatta di fotografia, di video e installazioni. Penso ad artisti fondamentali come Matthew Barney o Maurizio Cattelan tanto per citare un nome italiano.
VC: Ho notato che spazi tra diverse tecniche: dipingi, fai video installazioni, fotografie. C’è una tecnica che prediligi?
AS: La pittura è probabilmente la tecnica con cui riesco ad esprimermi meglio, ma mi piace molto sperimentare e quindi dedicarmi anche alla fotografia e a tutto il resto. Secondo me è sempre una buona cosa saper padroneggiare diverse tecniche. Credo che saper collegare il maggior numero di tecniche e di capacità espressive non sia affatto un limite, anzi credo che porti l’artista ad un ampliamento esponenziale della sua capacità creativa ed espressiva. Per questo motivo ad esempio ho sempre amato il collage e non disdegno di completare alcuni miei lavori con fotografie o quanto altro mi venga in mente.
VC: Appartieni ad una scuola?
AS: No, non faccio parte di nessuna scuola né tanto meno di circoli artistici. Ma non è una mia scelta, o meglio, non è che io sia contrario. Credo semplicemente che l’arte contemporanea non abbia bisogno di scuole. Storicamente le scuole sono sopravvissute fino agli anni ottanta. Oggi semmai esistono dei circuiti aperti all’interno dei quali gli artisti si muovono molto liberamente. E una causa evidente di ciò è che oggi disponiamo di mezzi di comunicazione molto più potenti che nel recente passato. Ma la comunicazione che avviene è certamente di un altro tipo. Internet ad esempio è stupefacente per la velocità con cui connette utenti tra di loro e per la vastità dei suoi collegamenti, ma stabilisce rapporti solo in apparenza. In realtà si è tanti e si comunica, ma per lo più si è tutti soli, ognuno pensa a se stesso.
VC: Come definiresti la tua arte?
AS: La mia arte è fondamentalmente basata sulla ricerca della personalità. Cioè in due parole quello che mi interessa sono le nostre reazioni emotive alla realtà che ci circonda, gli stati d’animo dell’uomo comune contemporaneo. In un certo senso è proprio a questo che allude il titolo della mia ultima mostra qui all’Associazione ZonaImmagine.
VC: Già, “WEB NO VIP”. Spiegami. Cosa significa?
AS: Significa semplicemente che ho voluto dare visibilità con i miei ultimi lavori a un mondo sotterraneo e sconosciuto di artisti che ho frequentato nel web. Le facce che vedi ritratte nei miei ultimi quadri sono infatti i loro volti, gli sguardi virtuali di artisti semisconosciuti proprio come me.
VC: E’ importante per un artista essere apprezzato? O meglio, sapere di essere apprezzato?
AS: Si, decisamente. Addirittura secondo me ci si può dire veramente artisti soltanto quando si è apprezzati da un pubblico significativo. Sembrerà banale dirlo ma un’opera d’arte non può fare a meno di un pubblico o comunque di un destinatario anche perché il pubblico è quello che da un senso all’opera d’arte, un senso che l’artista non saprebbe dare.
VC: Dammi una chiave di lettura per i tuoi quadri.
AS: Non c’è. Credo che ognuno dovrebbe cercarla ogni volta che si mette di fronte ad un’opera di qualsiasi genere.
VC: A chi credi che le tue opere siano rivolte? C’è un osservatore ideale?
AS: No non c’è un osservatore ideale. I miei quadri e le mie opere sono rivolti indistintamente a tutti.
VC: Mai fatto un autoritratto?
AS: De Chirico amava farsi gli autoritratti, io non l’ho mai fatto.